di Renata Zanon
Quando sono arrivata in aeroporto a Vancouver, alla dogana mi hanno chiesto se stessi scherzando.
“Una competizione di caffè?!”
“Be’, in realtà è una competizione tra baristi e home brewers”
“Ma in che senso?”
“Nel senso che devono tutti fare il miglior caffè possibile con l’Aeropress”
“Ah, certo. Quello di plastica”
“Esatto”
“Vada pure”
Dire che è stata una bella esperienza sarebbe ridicolo e svilente. C’è una lunga lista di particolari che andrebbero esportati in tutto il mondo.
L’organizzazione
In primis, l’organizzazione. All’arrivo al Pipe Shop nello Shipyard District mi è venuto un colpo. La sala era vuota. E mancavano 24 ore. Non c’era niente di niente, se non qualche persona che addentava un panino preso nel vicino fast food.
“Dove appoggiamo questi?” – dieci grinder portati lì per l’occasione, in quanto Macap era sponsor dell’evento.
“Metteteli pure a terra, non sono ancora arrivati i tavoli”
Panico. “Come non ci sono ancora i tavoli?”. Mi sorride, sereno.
Appoggiamo tutto a fianco a una colonna e andiamo a pranzo. Dopo due ore, il miracolo. Il palco era montato e due persone vi stavano portando uno splendido divano in pelle tre posti, stile Central Perk. Lunghe file di tavoli attendevano le attrezzature fornite dall’organizzazione per i concorrenti della competizione (io ci provo anche a utilizzare parole italiane, ma capite che “competitor” sarebbe stato più carino?), gli elettricisti avevano provveduto a installare una presa di corrente per ognuno di loro, il merchandising veniva esposto ordinatamente sul banchetto degli acquisti. Che dire, una macchina che funzionava alla perfezione. O almeno questa è stata la mia impressione.
Devo ammettere che gli organizzatori, capitanati da Tim Williams, erano molto rigidi riguardo eventuali modifiche proposte all’ultimo minuto: la risposta era un secco “no”. Ritengo a posteriori che sia stata una delle carte vincenti di questo evento.
Mi rendo conto che due paragrafi dedicati alla giornata che ha preceduto l’evento siano troppi, ma non ho potuto fare a meno di sottolineare questi aspetti, soprattutto in vista dell’imminente fiera di Rimini, quando ci ritroveremo tutti ad aspettare l’idraulico la sera prima dell’inizio.
La gara
La mattina della prima vera giornata di competizioni ogni concorrente aveva un tavolo tutto per sé, sul quale era stata preparata la borsa “Sorry not sorry” (il tema dell’evento) all’interno della quale avrebbero trovato il caffè della gara, una bilancia Brewista, un filtro IMS portato da Macap, la tazza all’interno della quale estrarre le bevande e un panno Oatly. Ognuno di essi aveva inoltre a disposizione un kettle Brewista.
Ai concorrenti è stato fatto un briefing durante il quale Tim ha ricordato le regole della competizione e subito dopo la raggiante Wendelien Van Bunnik ha estratto davanti a tutti il caffè della gara. Un Colombia striped red bourbon lavato di Finca Juan Martin. In seguito, ci sono stati molti interventi sul palco da parte di personaggi di spicco del settore, i quali diventeranno il giorno successivo i giudici della gara.
Nel pomeriggio sono state concesse ai competitor tre ore di tempo per trovare la ricetta. Ed è qui che inizia la parte in assoluto più emozionante.
È stato come se l’obiettivo di tutti, chi più chi meno, fosse solo ed esclusivamente quello di estrarre una buona tazza e divertirsi. Come se fosse più importante dare un consiglio al vicino in difficoltà che eccellere. Come se assaggiare la ricetta di qualcuno alla quale era riuscita particolarmente bene fosse meglio che ostinarsi sulla propria.
È stato pazzesco.
Ringrazio di aver avuto con me il mio cupping spoon Coffee & People perché in questo modo ho potuto assaggiare ogni preparazione. E la cosa più bella è che tutti, indistintamente, accettavano un consiglio o un complimento.
Quaranta concorrenti, provenienti da quaranta Paesi del mondo, che sorridevano, scherzavano, macinavano, si divertivano, pressavano in un clima decisamente sereno.
La mattina dopo, devo ammetterlo, è salita un pochino la tensione. Ma neanche tanto.
I concorrenti, a gruppi di tre, avevano cinque minuti di tempo per estrarre (sul palco) la loro ricetta. I giudici a questo punto le assaggiavano e decidevano – in questa prima manche – quella che preferivano meno. In questo modo due concorrenti per ogni terzetto passavano al round successivo.
Io adesso non ricordo esattamente i numeri. Da quello che ho capito, ci sono stati dei ripescaggi a sorte tra gli eliminati. Quel che è certo è che alla seconda manche hanno partecipato in ventisette.
Da ventisette a nove.
Da nove a tre.
Da tre a uno.
Perché dalla seconda manche in poi i giudici dovevano scegliere solo la tazza migliore delle tre. I dettagli tecnici credo possiate trovarli sul loro sito.
Cosa ho visto dal backstage? Gente che ci teneva, che piangeva quando scopriva di non aver passato il turno, gente che si arrabbiava. Credo sia umano, vero? Sei lì, alla finale mondiale di Aeropress, a Vancouver, dopo aver fatto grandi sacrifici per partecipare, è normale che uno ci rimanga male, vero? Ma sapete qual è la cosa più bella? L’assenza di polemiche. Nessuno, nessuno ha osato dire nulla.
Nemmeno nel momento in cui i giudici, dopo aver scelto i nove migliori aeropressisti del mondo, hanno deciso di cambiare il caffè per la prova finale. Che botta! Sono passati da un lavato a un naturale (incredibilmente buono) e i semifinalisti hanno avuto mezz’ora per ritrovare la ricetta. Che emozione. Io sono rimasta a bocca aperta!
La finale
La finale è stata entusiasmante: il concorrente belga – arrivato poi secondo – ha fatto le prove con il figlio di appena un mese tra le braccia. La concorrente australiana – che ha vinto il titolo – ha realizzato ogni singola ricetta facendosi un video per poterla poi rivedere. La concorrente di Singapore, che non è nemmeno una barista (come moltissimi altri concorrenti), ha utilizzato un macinino manuale al quale ha montato una specie di trapano. Come si fa a non rimanere entusiasmati da tutto questo?
In un unico posto decine di persone con professioni diverse, con obiettivi di vita diversi, che parlavano lingue diverse, con tecniche di estrazione diverse, ma tutte con un’unica passione. Il caffè.
Lasciatemi lì con la testa ancora un pochino, vi prego!