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La tazzina napoletana e gli haters: l’espresso nell’era dei social è ancora condivisione?

Nei tempi morti, come tutti, tra una tazzina e l’altra, mi butto sul web a dare un’occhiata. Tornando su un reel pubblicato su Instagram – a proposito, qua mi trovate – in cui ero stato coinvolto, ho trovato lasciato un commento che mi ha colpito: “Due non Napoletani che parlano di caffè, ma si può?”.

Non che chi avesse commentato avesse tutti i torti, dato che, in effetti ho condiviso un dato sbagliato – per dovere di cronaca, avevo erroneamente parlato di una pandemia di colera verificatasi nel ’50 invece che nella data corretta, il 1973 – e quindi giustamente si sono aperte le gabbie dei leoni (da tastiera).

Va anche specificato che la maggior parte dei commenti è rimasta aderente al motivo di discussione principale e che altri mi hanno corretto in modo garbato. Al netto di tutto quindi, posso spingermi nell’affermare che si sia trattato di uno scambio piuttosto positivo.

Tuttavia, avrei dovuto con il senno di poi tentare di spiegare le cose a prova di “bambino”, ma poco male: ne faccio tesoro e ammiro sempre più chi riesce a rimanere calmo e a trasmettere esattamente i concetti che vorrebbe far passare davanti a una telecamera.

Ma tornando a noi, questo botta-risposta mi ha costretto ad una riflessione: perchè c’è chi può parlare e chi non può discutere di cosa sia l’espresso? E in secondo luogo, perchè ci sono così tanti haters?

Mi è venuto subito in mente che nel 1968 Andy Wharol diceva “In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes”.

La stessa citazione assumerebbe questo significato al giorno d’oggi: “Dato l’elevato numero di canali attraverso i quali un individuo può raggiungere la fama, per quanto non duratura, praticamente chiunque ha l’occasione di diventare famoso per un breve periodo di tempo”.

In Guatemala, nella Finca La Senda

Aggiungerei che da sempre è più facile concentrarsi su un piccolo dettaglio sbagliato piuttosto che su un concetto più ampio, ed così che inizia la gara dei leoni da tastiera: pur di essere ascoltato, letto o comunque ricordato si deve dire qualcosa contro qualcuno.

Ritorniamo quindi ancora sul commento che ha fatto nascere il dibattito.

“Due non Napoletani che parlano di caffe, ma si può?”.

Prima di tutto mi viene da chiedere: perchè no?
Perchè solo un napoletano può parlare di caffè?

Quindi sono tornato a pensarci su. Questo è un approccio, un atteggiamento, che è diffuso ovunque, che ha magari avuto origine proprio a Napoli e poi si è sparso in giro per l’Italia e da qui in tutto il mondo.

La premessa obbligatoria e ovvia è che Napoli è una città meravigliosa per cultura, architettura e ovviamente cibo.

Vogliamo però commentare il caffè, da un punto di vista più professionale? In questa città ho bevuto 2 espressi che al fiele gli fanno una pippa, ma a onore del vero, ne ho anche gustato buonissimi, in posti poco conosciuti.

Ho trovato persone pronte ad ascoltare, altre che mi correggevano con il piacere di condividere, non per attaccare.

Oggi voglio proprio stupire andando contro i luoghi comuni: pensate un po’, ho bevuto degli espressi buoni in Francia, Grecia, Regno Unito, Germania… ma anche delle ciofeche.

Stessa storia nel resto del mondo: sono stato in caffetterie meravigliose dal punto di vista di design, ma discutibili per il prodotto, eppure piene di clienti soddisfatti di ciò che bevevano.

Una vista mozzafiato

Quindi mi chiedo, chi può parlare di cosa?

Ma soprattutto, voi sapete cosa sia il caffè per voi? Perché lo bevete? Perchè ne parlate?

A volte non lo bevo, raramente non ne parlo, altre ancora non riesco a trattenermi. Spesso non ne voglio neppure discutere perchè, forse con tanta presunzione, penso che l’interlocutore non capirebbe.

Eppure per me il caffè è innanzitutto condivisione, un piacere da vivere assieme che parte da un piccolo luogo lontano da quelli che digitano le proprie opinioni solo per avere 1 minuto di gloria.

Io ho tanto da imparare, da tutto e da tutti, però, giusto per flexare un po’ (termine che noi giovani usiamo al posto di un arcaico “ostentare”, l’ho studiato), proprio adesso che scrivo, mi trovo seduto tra le piante di caffè in Guatemala. I ragazzi qui muovono il caffè nel beneficio, ridono, si prendono in giro, inseguono cafecito (il cane mascotte) perchè non può entrare (per ovvi motivi) e poi mangiano tutti assieme, all’ombra.

Ed ecco che proprio in questo ambiente, forse ho trovato la risposta alla mia domanda: ecco cosa è il caffè per me, con le sue diverse sfumature. Tutti ne possono parlare, tutti possono imparare cose nuove, tutti possono condividere una tazzina, se lo vorranno.

E a questo punto, apro ancora la discussione: voi come vivete il rito della tazzina?