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STORIA DEL TERMINE “ESPRESSO”

Quando nasce il termine “espresso”?

In merito all’utilizzo del termine espresso, è abbastanza evidente come questo sia utilizzato sempre meno nel linguaggio comune degli italiani, i quali lo stanno sostituendo con il più rapido e semplice “caffè”. Come accade per molte contrazioni linguistiche, l’utilizzo del termine generico riduce le varie sfumature che invece le bevande prodotte dall’insieme di acqua e polvere di caffè si possono ottenere.

Angelo Moriondo

L’invenzione di Angelo Moriondo del XIX secolo ha rivoluzionato il consumo del caffè in tutto il mondo.

Testata della rivista "Torino e l'esposizione italiana del 1884"
Testata della rivista “Torino e l’esposizione italiana del 1884”

Moriondo nacque il 6 giugno 1851 in una famiglia di inventori. Forse è il contesto in cui è vissuto che gli ha permesso di ideare la prima macchina che permettesse di erogare molti caffè contemporaneamente. Presentata all’Expo Generale di Torino nel 1884, ricevette un brevetto dal titolo “Nuove macchine a vapore per la confezione economica e istantanea della bevanda al caffè, metodo A. Moriondo”.

La sua macchina sfruttava la pressione del vapore per erogare una o più tazze di caffè in modo rapido, ma l’invenzione non fu mai industrializzata e Moriondo utilizzò le sue macchine solo per i clienti dei suoi locali.

Il XX secolo

Il mondo dovette aspettare il 1905 per avere le prime macchine da caffè realizzate in serie. Nel 1906, all’Esposizione Universale di Milano, Luigi Bezzera e Desidero Pavoni usarono l’idea di Moriondo per realizzare una macchina con caldaia verticale in grado di fare una tazzina di caffè in pochi secondi.

Brevetto, Bezzera 1903. Espacenet.com
Brevetto, Bezzera 1903. Espacenet.com

Le successive date da ricordare sono sicuramente il 1938, anno in cui Achille Gaggia brevetta il gruppo erogatore meccanico. Grazie ad esso non si utilizza più il vapore per l’estrazione, bensì acqua calda ad elevata pressione.

Nel 1961 Ernesto Valente inventa il gruppo erogatore E61, tutt’oggi utilizzato.

È dalla somma di queste e numerose altre invenzioni che oggi abbiamo la possibilità di gustare quotidianamente l’espresso al bar.

Il termine “espresso”

Da dove nasce il termine “espresso”?

Il significato è quello di un caffè preparato al momento con una macchina che spinge acqua ad elevata pressione su un pannello di caffè macinato.

Appare per la prima volta nel Vocabolario napoletano-italiano di Raffaele Andreoli del 1887 e successivamente nel Dizionario Moderno di Panzini nel 1918 con il significato di “caffè fatto apposta” (1). Inizialmente, dunque, “espresso” era l’aggettivo che determinava un tipo di caffè, ma con l’andare del tempo diventerà esso stesso un sostantivo, utilizzato in 31 lingue a livello mondiale. (2)

Era curioso vedere “[…] come il mondo si preoccupi più del caffè che della poesia […]” scriveva il giornalista de Torino e l’esposizione italiana del 1884.

E se invece esistessero opere scritte dove il caffè, o meglio ancora, l’espresso la faccia da padrone?

È questo il caso di un’opera teatrale del 1912 “Il perfetto amore. Dialogo in tre atti” di Roberto Bracco. È una storia di amori e di tradimenti, ma tradimenti senza aver tradito.

Roberto Bracco. Wikipedia
Roberto Bracco. Wikipedia

Riporto qui di seguito un estratto del primo atto, dove vediamo i protagonisti Elena e Ugo seduti in un salotto “di un piccolo albergo elegante”. Al loro tavolo arriva un cameriere tedesco per l’ordinazione:

Il perfetto amore. Dialogo in tre atti. Atto primo.

[…]

ELENA

(al cameriere:) Un caffè nero.

IL CAMERIERE

Ja.

UGO

Un caffè nero anche a me.

IL CAMERIERE

Ja.

ELENA

Un caffè nero espresso.

IL CAMERIERE

Ja.

UGO

Espresso anche a me.

IL CAMERIERE

Ja. (Via.)

ELENA

(impulsivamente, ha lanciato a Ugo uno sguardo severo.)

UGO

(ha sorpreso lo sguardo, e coglie questa occasione per rivolgerle la parola.) Non c’è da aversela a male, signora. Dopo colazione io soglio regalarmi un caffè nero, come fa quasi tutta l’umanità. E, siccome ella ha avuta la buona idea di ordinarlo espresso, io, che mi son ricordato d’aver preso stamane, in questo medesimo hôtel, un caffè non espresso che era un veleno, ho adottata la sua buona idea immediatamente. È molto semplice.

ELENA

(fingendo di non badargli, si alza, e giunge, lenta, al tavolino su cui è il mazzo di carte francesi. Lo prende, mescola le carte. Siede. Comincia a fare un solitario: il «solitario di Napoleone».)

UGO

Nondimeno, le chiedo scusa se mi sono permesso di non volermi avvelenare una seconda volta.

[…]

La bellezza della storia e della lingua italiane fanno del nostro Paese una culla culturale invidiabile a tutto il mondo. Non dimentichiamolo mai!


(1) Dizionario moderno. Supplemento ai dizionari tradizionali, Luca Serianni. 2009

(2) Peccati di lingua, le 100 parole italiane del gusto, Massimo Arcangeli. Rubbettino. 2015

LA STORIA DEL CAFFÈ

Non essendoci fonti certe in merito alla scoperta della pianta del caffè, la fantasia dell’uomo ne ha elaborato una serie di leggende. Divenute oramai famose, queste dipingono quel giorno come memorabile. La più raccontata di tutte parla di un pastore, chiamato Kaldi, il quale aveva visto le sue capre danzare dopo aver mangiato i frutti della Coffea e decise di seguire il loro esempio. L’effetto dell’assunzione di caffeina sembrerebbe essere stato immediato, tanto che il pastore, famoso per essere anche un poeta, avrebbe da subito iniziato a decantare poesie accompagnandole al canto e al ballo.

Non è difficile credere come in Etiopia, il luogo dove nasce questo racconto, il caffè sia subito divenuto parte integrante della cultura. Il consumo, però, era molto diverso da quello che intendiamo noi oggi: erano soliti preparare un infuso con le foglie, masticarle o fermentare la polpa dei frutti producendo una sorta di vino chiamato qishr (o kisher).

Questo fino al XVI secolo, quando qualcuno decise di tostare e macinare i semi per farne un infuso. “Ah! Il caffè come lo intendiamo noi (o qualcosa di simile), vide finalmente la luce”.

I frutti del caffè
I frutti del caffè

Il viaggio

Eravamo rimasti in Etiopia, dove si dice sia stato scoperto il caffè (in realtà, recenti studi di genetica hanno indicato un’altra area come zona di origine del caffè di specie Canephora: il Sudan). Come ha fatto il caffè ad arrivare a noi?

Prima di tutto, fu indispensabile attraversare il Mar Rosso. Furono proprio gli etiopi a farlo: durante il VI secolo conquistarono lo Yemen, rimanendoci per qualche decina d’anni.

Il commercio del caffè iniziò proprio con la permanenza dei nordafricani nella penisola araba.

La storia del caffè da quel momento in poi è ricca di alti e bassi: ci ha messo secoli per attraversare un confine, oppure lo ha fatto nel giro di pochi giorni. Molte volte è stato promosso a gran voce dai governanti dei luoghi in cui approdava, e tante altre vietato.

“Quando Khair-Beg, giovane governatore della Mecca, venne a conoscenza del fatto che nelle sale da caffè si componevano versi satirici sulla sua persona, decise che il caffè, come il vino, doveva essere proibito dal Corano, e spinse i propri consiglieri religiosi, legali e medici ad appoggiarlo. Fu così che nel 1511 i caffè (“i caffè”, troviamo qui un nuovo significato del termine) della Mecca furono chiusi con la forza.” (1)

Questo è solo un esempio di un provvedimento preso contro il caffè, perché si sa, del caffè non si può fare a meno!

C’è un altro accadimento a mio avviso importante nella storia dei nostri adorati semi: dal momento in cui ne sono venuti in contatto, gli Arabi hanno avuto il monopolio del caffè al punto di vietare che qualsiasi seme fertile potesse superare il loro confine. Ma l’occasione fa l’uomo ladro, ed è proprio quello che accadde in un anno non preciso del XVII secolo, quando un pellegrino musulmano chiamato Baba Budan si fasciò al dorso sette semi vitali di caffè e li piantò in India. Crebbero così le prime piante sulle montagne di Mysore.

Ad oggi l’India è uno tra i maggiori produttori di caffè al mondo.

L’arrivo in Europa

L’arrivo in Europa lo dobbiamo al commercio con la Turchia durante il XVII secolo, nei porti di Amsterdam, Venezia e Marsiglia. All’epoca, nessuno, però, conosceva il suo utilizzo! Fu solo grazie a George Sandys, un britannico che aveva visto i turchi consumare il caffè, che anche nel nostro Continente si iniziò ad apprezzarlo.

Ciononostante, già nel 1573, un fisico e botanico tedesco, Leonhard Rauwolf, aveva scritto il primo reperto scientifico europeo sul caffè. Lo seguì Prospero Alpino, un medico italiano, il quale nel 1592 pubblicò “De plantis Aegypti”. È in questo documento che si trovano le prime informazioni mediche riguardo la bevanda: egli, infatti, la consigliava come medicina per le sue “qualità stimolanti e digestive”.

Frontespizio. De Plantis Aegypti, Prospero Aplino
Frontespizio. De Plantis Aegypti, Prospero Alpino

Dal momento in cui gli europei ebbero iniziato a comprenderne l’utilizzo, diventò ben presto un bene di lusso, apprezzato dalla borghesia, ma in brevissimo tempo il suo consumo come “uccisore della fame del proletariato” (2), lo vide diffondersi anche nei ceti medi, esattamente come altri prodotti “tropicali” quali il tè e il cacao.

I dottori iniziarono a prescriverlo come cura di molte malattie, dall’ernia ai reumatismi, dal raffreddore alla bronchite. Rimase all’interno di libri di farmacologia quali Materia Medica e Codex Medicus fino al XX secolo, nonostante già durante il XVII secolo le persone avevano iniziato a preoccuparsi delle conseguenze causate dal suo consumo eccessivo.

Lo stesso Goethe, consapevole di aver consumato quantità di caffè troppo elevate prima dei trent’anni, decise di ridurne il consumo nel 1779, in quanto “il caffè, che mi dava un tono particolarmente malinconico, specie se assunto con il latte dopo cena, mi paralizzava l’intestino e sembrava sospenderne completamente le funzioni” (3).

A partire da questa presa di coscienza del poeta, Friedlieb Ferdinand Runge – un chimico tedesco – prese spunto per studiare il prodotto in laboratorio. Nel 1819 riuscì infatti ad isolare la molecola della caffeina dal chicco.

La sintesi completa della caffeina, però, avverrà solamente nel 1895, grazie a Emil Fisher, in quanto il materiale scientifico in merito a questo alcaloide era sempre basato sui suoi effetti fisiologici e non sulla sua composizione strettamente chimica (4).

Qualora da questo elenco di eventi a qualcuno fosse venuto qualche dubbio in merito alla pericolosità del caffè, suggerisco le parole de “il Manzoni della lingua gastronomica italiana” (5), il gastronomo Pellegrino Artusi:

“Allo svegliarvi la mattina consultate ciò che più si confà al vostro stomaco; se non lo sentite del tutto libero limitatevi ad una tazza di caffè nero, e se la fate precedere da mezzo bicchier d’acqua frammista a caffè servirà meglio a sbarazzarvi dai residui di una imperfetta digestione.” (6)


(1) Storia del caffè, Mark Perdergrast, Odoya 2010

(2) Coffee: Consumption and Health Implications, Adriana Fara

(3) Depression and creativity — The case of the german poet, scientist and statesman J. W. v. Goethe. Rainer M Holm-Hadulla, Journal of affective disorders, 2010

(4) Caffeine–A Drug with a Surprise Siegfried R. Waldvogel, National library of Medicine, 2003

(5) «Prontate una falsa di pivioni»: il lessico gastronomico dell’Ottocento, Luca Serianni, 2009

(6) La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, Pellegrino Artusi, 1891.

Not ordinary moka

Se parlassi con qualche anziano del paese e gli raccontassi che ho mangiato il maialetto CBT, mi prenderebbe a schiaffi.

Abbiamo avversione nei confronti delle cose che non conosciamo, è naturale.

La moka 3 tazze E&B Lab. Ph Matteo Pianta

E a mio avviso la moka è uno strumento, seppur utilizzato da decenni, sconosciuto ai più. E non mi riferisco solamente alle signore che la preparano per accogliere le comari in casa al mattino, ma anche ai più esperti.

La storia

Sempre più spesso sento dire che la moka è un sistema di estrazione obsoleto con il quale non si riesce a valorizzare al meglio il caffè.

Ma siamo davvero sicuri che con la moka non si possa estrarre un buon caffè? O dobbiamo forse iniziare a capire che la moka è soltanto una macchina che obbedisce ai nostri comandi?

Poverina, non è colpa sua, ma del fatto che l’approccio nei suoi confronti sia sempre partito da un punto di vista o troppo scientifico-meccanico o troppo casalingo.

Mi spiego meglio:

Fino ad oggi tutte le pubblicazioni scientifiche (si vedano, ad esempio, autori come Concetto Gianino o Luciano Navarini) hanno analizzato l’estrazione in moka tenendo in considerazione solamente temperatura e pressione: l’energia fornita dalla fonte di calore innesca le varie reazioni eccetera. Di conseguenza, tutti hanno sempre realizzato le loro ricette mettendo una certa quantità di acqua nella caldaia, una certa quantità di caffè nel filtro e hanno (i più esperti) atteso migliore temperatura per interrompere l’estrazione. Il problema, anche qui, è che alcuni sceglievano questa temperatura con criterio, altri per sentito dire…

Non si è mai tenuto conto, però, della variabile più incostante di tutte le estrazioni: il caffè. Grado di tostatura, origine, età sono tutti fattori che contraddistinguono la materia prima e il comportamento durante l’estrazione.

È possibile dunque creare una ricetta univoca che vada bene per tutti i tipi di caffè? La risposta, ovviamente, è no. Ci sono molti altri fattori da tenere in considerazione durante l’estrazione di un caffè. Ma soprattutto, c’è la necessità di costanza di prodotto per poter confrontare i vari test o assaggi. Ma anche per servire sempre la stessa tazza al nostro ospite o adeguarla al suo palato!

Il problema della ripetibilità

Un dettaglio dell’erogazione. Ph Matteo Pianta

La ripetibilità delle estrazioni è stato il primo nodo da sciogliere per me e Simona Rey. Infatti prima di poter iniziare alcuni esperimenti per conto di IMS filtri ci siamo detti che la ripetibilità fosse la chiave per poter accendere la macchina dei test e rendere validi tutti gli studi seguenti.

Esattamente come in una macchina espresso non è possibile calcolare la quantità d’acqua da utilizzare per l’estrazione, anche nella moka non è possibile calcolare quanta acqua rimanga intrappolata nel filtro e nella caldaia.

Nell’espresso abbiamo da molti anni ovviato al problema pesando la bevanda in uscita.

La soluzione davanti ai nostri occhi

E se la soluzione fosse la medesima anche con la vecchia cara moka?

E come poterlo misurare?

I fondi residui delle estrazioni realizzate

Io e Simona, dopo vari tentativi e fallimenti, cambiando approccio, siamo riusciti a prevedere il comportamento della moka tenendo in considerazione i grammi IN, i grammi Out e il tempo totale. Vi suona familiare?

Un’estrazione dopo l’altra, stesso gusto, stessi aromi, stesso TDS.

È possibile? Certo che sì!

Il problema è solo la voglia di mettersi in gioco e provarci.

Non abbiamo stravolto altre regole: abbiamo messo acqua sino alla valvola, il caffè fino all’orlo del suo cestino, stesso fornello (noi abbiamo utilizzato una piastra a induzione), stessa potenza, si aspetta l’estrazione, se ne prende il tempo dalla prima goccia che esce, quando toglierlo dal fuoco e quando viene fuori l’ultima. Ovviamente senza far gorgogliare!!

Ora assaggiate e decidete. Mi piace? Non mi piace? Troppo forte? Troppo vuota? Beh, qui vi toccherà cambiare granulometria, quantità di caffè oppure quando toglierla dal fuoco. Dovete giocarci, tutto qui.

Noi abbiamo fatto la nostra tabella, con i nostri dati e le nostre conclusioni.

Quanto caffè mettere, quanta bevanda ottenere… vi do un aiuto. A nostro avviso un buon rapporto tra caffè macinato e bevanda, in una moka da 3 tazze è di 1:7 in su.
Ah, dimenticavo, ovviamente come materia prima parlo di un caffè specialty, appena macinato. Ma come per l’espresso parliamo di macchine, quindi usando un caffè anche non specialty, se si conoscono le formule, basta cambiare i numeri e i conti tornano!

Se volete altre notizie dovrete aspettare il prossimo articolo.

Intanto provate e fatemi sapere!